Schiacciata da un grido feroce, un giorno svuotato, un corpo cavo, un gesto inutile.
Condensa sui vetri, respiri intrappolati e calore umano in fuga, l’aria densa di sogni rarefatti. Non basta più una sola alba, specie se il sole non sorge mai.
La neve è ovunque, ghiaccio sparso che strappa brividi dalla pelle; i rami sibilano sferzati dal vento; i miei pensieri sparpagliati e confusi; una macchia di caffè su un foglio di appunti, la penna a mezz’aria, l’inchiostro sull’anulare, nero liquido che intride e marchia.
Sono Cathy: capricci e passione disciolti nella bruma, sono aspra e drammatica, solitaria come la nostalgia, abbandonata su piani inintelligibili, pensiero contorto e volontà piegata al timore, un osso corroso, lingua asciutta e muta.
Sono Cathy morta, sepolta tra le radici di un albero, occhi sbarrati e vuoti, pallore e lividi, non sulla pelle ma sul cuore.
Sono tempesta lontana, la sua eco tra le valli, il sentore di imminente perdita e collasso. Collezionista di fotografie ormai stinte, madre di aborti, gelosa di cornici bianche su rettangoli di grigio confuso nei quali vedo tutto ciò che poteva essere e non è mai nato.